domenica 24 giugno 2007

Devoti Giuseppe Sebastiano Painting


Devoti Giuseppe Sebastiano.
Analisi di un artista versatile e provocatorio.
A cura di “Alfonso Vallini Morra”.
«Come persona l’artista può avere capricci, umori e mire sue proprie, ma come artista è nel senso più alto: uomo, uomo collettivo, portatore e rappresentante della vita psichica inconscia dell’umanità. Questo è il suo “officium”, il cui peso è spesso così preponderante che gli vengono fatalmente sacrificate la felicità personale e tutto ciò che di solito rende all’uomo comune la vita degna di essere vissuta.... La sua vita è necessariamente piena di conflitti, poiché due potenze si combattono in lui: l’uomo comune con le sue giustificate pretese alla felicità, soddisfazione e sicurezza vitale, da una parte, e la passione creativa, intransigente, dall’altra, che calpesta all’occasione tutti i desideri personali. Ecco perché il destino personale di tanti artisti è così insoddisfacente, anzi tragico: non per volontà di un fato oscuro, ma per l’inferiorità o l’insufficiente capacità di adattamento della loro personalità umana. Raramente si dà il caso di un artista che non debba pagare cara la scintilla divina che è in lui.» Carl Gustav Jung.
L’espressione artistica si traduce sempre in atti concreti, in gesti che scoprono e rappresentano gli aspetti profondi dell’essenza umana. Essa rende alla coscienza gli elementi inconsci della personalità dando a questi ordine e spiritualità.

L’arte è una sorta di forza sensuale che si ripiega su se stessa ed esprimendosi diviene armonia creativa. Genera il mito ed in esso si realizza sul caos dell’inconscio. Nel mito razionalizzato attraverso un’azione ordinatrice si palesano gli aspetti arcani della passione creativa nella cui fusione ermafroditica, feconda, autofertilizzante si identifica la globalità dell'universo. Il “TUTTO” che è contemporaneamente maschio e femmina, luce ed ombra, positivo e negativo, sublime ed abietto. La funzione dell’arte è di rappresentare questa realtà duplice e contraddittoria in cui si riuniscono coscienza ed incoscienza, saggezza ed ingenuità della naturalità umana. Fare arte significa inglobare nella coscienza forme fluttuanti e sparse dando loro struttura e significato. L’artefice di quest’azione sa per grazia e dannazione che il suo gesto non conosce ripensamenti perchè rappresenta la libertà di proporre, in un tempo in cui l’immaginario è sempre in fuga, l’abitare visivo del mondo attraverso la dinamicità dell’apparenza artistica. Per questo nell’artista si fondono tutti gli aspetti della realtà umana.
A questa categoria di uomini appartiene Giuseppe Sebastiano Devoti. Nato a Torino nel 1941 Laureato in Architettura al Politecnico di questa città. Titolare negli anni ‘60 della cattedra di Figura e Decorazione Presso il Liceo Artistico “Giotto” di Torino.
Fonda il Puraismo, che si propone un’espressività libera, fantastica, anarchica affrancata da ogni razionalismo stilistico. Attualmente usa una tecnica pittorica assolutamente nuova e particolare; tecnica mista in cui più materiali vengono utilizzati per raggiungere il forte impatto evocativo del prodotto finito.
L’accorpamento dei colori: smalti sintetici, acrilici e stucchi nuance viene ottenuto su una preparazione che potremmo definire estensione dell’encausto, tecnica antichissima già usata nelle pitture parietali Pompeiane. Questo procedimento fissa i colori al supporto mediante il calore.
Devoti estende questa tecnica dandole un’ulteriore funzione, quella di ottenere un effetto pittorico nuovo ed inquietante. Le marezzature che i dipinti presentano sono ottenute per bollitura del colore a temperature prossime ai 400 gradi centigradi.
Sulle basi ottenute ad encausto vengono aggiunti gli altri materiali che creano l’insieme pittorico. Queste aggiunte sono distribuite con la gestualità dell’action painting, quindi anch’esse trattate a caldo e lavorate con bulini di bamboo. Completa la tecnica piuttosto complessa l’uso di un particolare stucco, inventato dall’artista, che dà materialità alla composizione.
Analizzando le sue opere si ha l’impressione di stare di fronte ad una personalità variegata ed indefinibile alla continua ricerca di una precisazione stilistica. Questa impressione (che nasce dall’irrequietudine del personaggio) è erronea, infatti un’attenta analisi della sua produzione individua una coerenza tecnico-formale comune a tutto il suo percorso artistico. La sottile ansia presente nei suoi quadri rappresenta lo scetticismo che egli ha della vita. Nella sua arte Devoti mostra la consapevolezza che nella nostra società l’utopia artistica è frammentata in singole azioni spesso tra loro incoerenti. Piuttosto ciò che è mancato al nostro artista è la continuità operativa; che ha penalizzato la sua produzione pittorica per quasi 25 anni. Questa interruzione nasce da contingenze professionali, ma soprattutto da una spiccata insofferenza a limitare la sua attività ad un solo aspetto produttivo. Questo aspetto caratteriale lo ha sempre posto in contrapposizione prima con se stesso e poi con gli altri. Nel quarto di secolo in cui ha ridotto l’attività pittorica ha spostato i suoi interessi artistici sulla produzione di materiale didattico per l’istituto scolastico di cui era dirigente: sculture in bronzo da lui fuse, terraglie cotte con metodi primitivi e disegni ad inchiostro. Questa fase è stata comunque importante perché si è realizzata in un particolare spazio di ricerca. La sperimentazione di tecniche d’uso, nuove e spregiudicate con inchiostri e resine viniliche, gli ha reso familiare il successivo utilizzo del “dripping”.
L’originalità del gesto pittorico sta nel fatto che tanto l’artista quanto l’osservatore possono, in una situazione particolare e privilegiata seguire l’atto del dipingere alla maniera di chi ascolta la musica. Le opere caratterizzate da attenzione per il gesto producono, al di là della verbalizzazione delle reazioni emotive, un coinvolgimento introspettivo. Concentrandosi sul modo in cui l’artista esprime la sua parte interiore, si va oltre la pura sensazione visiva legata al soggetto del quadro.
Mediante questo modo di entrare in relazione con l’opera, Devoti, cerca disperatamente di farci vedere ciò che nell’arte non è rappresentabile. Per dirla con Hegel di rendere “presente la presenza” di ciò che è nascosto nell’inconscio. L’artista operando mediante una fittizia incapacità d’identificare il reale, ricostruisce l’essenza emozionale del mondo recuperando con la riflessione pittorica ciò che l'immediatezza della vista non può dare.
Nel 2006 fondando il “Puraismo” ha semplicemente voluto (in un momento in cui l’urgenza di riprendere a dipingere diveniva una necessità esistenziale inalienabile) mettere ordine nella sua storia personale e potendo condividere con alcuni amici ciò che la sua esperienza umana ed artistica aveva maturato, ha definito gli aspetti formali del suo progetto artistico.
Nel rapporto quadro-sguardo, cerca di creare una metafisica del vedere il mondo prima di ogni piglio, anche del suo. Devoti propone un archetipo di realtà reinventata, quello aurorale del sogno. Visione onirica del mito cosmogonico dell’universo prima che l'uomo lo fagocitasse integrandolo ai propri desideri e bisogni.
Il suo credo emerge dall’analisi del Manifesto Puraista in cui afferma:
….”La trattazione del colore sia un fatto formale caratterizzante il rapporto magico che l’artista intrattiene con la materia della sua espressività, l’elemento stilistico che identifica un’operatività mediata attraverso un vero patos emozionale”….”L’opera nasca dall’analisi delle apparenze, rinunciando all’interpretazione ottica del mondo”….” Lasciamo che le cose penetrino in noi e c’invadano”…. “Occorre riproporre una pura visione soggettiva, dipingere una materia che prenda forma, in modo quasi spontaneo e primordiale, sotto le nostre mani”….. “che la nostra pittura risulti come un coacervo originario di tutto ciò che sarà”..…”dobbiamo saper evocare lo sforzo demiurgico di ritornare alla percezione vergine delle origini, quella non filtrata da sguardi che giudicano, accolgono o rigettano”.
Nelle ultime opere si può ritrovare la cosciente e coerente applicazione di queste idee e nello stesso tempo scoprire continuità stilistiche che risalgono agli anni ‘60.

Analisi delle opere:

1960 - “La signora Avalle Maria” - Nel ritratto della madre, l’artista presenta tutti gli elementi stilistici e caratteriali che lo pongono in rapporto con una realtà “soggettiva” dura ed immutabile. In un paesaggio dai forti contrasti si pone la figura austera della madre, di una estraneità inquietante, simulacro presente di autorità possessiva e distaccata. Il cielo livido sottolinea quest’aspetto di estraneità mista a rispetto e mette in risalto la sfiducia che, partendo dagli affetti più intimi, si protende verso tutto ciò che lo circonda. In un ambiente estraneo e freddo crescono e si scagliano verso l’alto scheletrici alberi che rappresentano il bisogno di elevarsi dal presente, necessità che va a perdersi in un’atmosfera buia e castrante. Lo spazio in cui muoversi non resta che quello terreno dove la luce crepuscolare è eternamente in fuga. Nel volto dalla classica compostezza e nell’assenza di emozioni si sottolinea la carenza di comunicazione, nel rapporto di prossimità con l'altro.
1960 – la signora Avalle Maria – olio su tavola 60 x 90

Questi elementi permangono nel quadro del 1961 - “solitudine” - . Il luogo in cui il pittore si muove. E’ ancora un ambiente alieno, una terra devastata in cui compaiono gli scheletri delle opere degli uomini. La necessità di staccarsi dalla realtà rappresentata dagli alberi, anche in questo caso, risulta castrata dall’incupirsi degli strati alti del cielo. Non resta dunque altro luogo se non la terra organizzata in un reticolo di fughe prospettiche. Queste rappresentano il tentativo di mitizzare la realtà disordinata ed informe. La normalità quotidiana, che dovrebbe costituire la stabile cornice della nostra esistenza, è frustrata dall’umana presenza autolesionista e distruttiva. Il mondo, quale appare agli occhi dell’artista, è dunque posteriore a quello immutabile delle azioni compiute nel tempo mitico: “Sono le azioni dell’uomo che hanno riportato il caos instaurando le condizioni nelle quali vivere l’individuale solitudine.

1961- solitudine- Olio su tavola 21,5 x 36,5

Nella fase attuale la sfiducia, anche a causa del vissuto, ha mutato aspetto ammorbidendosi. Lo spazio precosmico proposto, luogo al di fuori del tempo e dalle banali emozioni quotidiane, quando non è antropizzato è colonizzabile. L’osservatore, divenuto agente dell’atto di riconoscere e ricostruire l’essenza nascosta di ciò che cade sotto i suoi occhi, aderisce dunque a questi ambienti sognati. Il mondo proposto da Devoti si fa guardare come si fa guardare la superficie di un pianeta sconosciuto: la bellezza inquietante di ciò che non è mai stato visto prima. Egli presenta un‘arte in cui si proiettano sulla superficie del dipinto i momenti del processo di identificazione visiva dell’opera, cerca di ricreare luoghi in cui non c’è spazio per la familiarità, per le effusioni, in cui non ci si deve sentire a proprio agio, luoghi in cui far emergere un sentimento d'estraneità verso la continuità culturale. Come egli dice: “Quelli dell’esistenza ogni volta reinventata come utopia della genesi….. nuova mitologia aborigena, in cui riproporre lo stato metafisico dei sentimenti dell’ERA DEL SOGNO” .

2006 – La foresta pietrificata - encausto su tavola 50 x60

Nella - Foresta pietrificata - del 2006, la spontaneità dei segni stilizzati, dal cupo contrasto coloristico, indicano l’utopia verso un mondo energizzante, è la dinamicità ideale di questa pittura ad esprimere speranza. Egli ambisce, nella natura del quadro, rappresentare ciò che lo sguardo evoca. Non prospetta al pubblico solo il soggetto visualizzato, ma anche la sua soggettività proponendola come capacità percettiva dell’arte.
Chi osserva, rinunciando al riconoscimento familiarizzante, analizza gli spazi per identificarli come novità inconosciuta ogni volta che si presentano allo sguardo.
In questo quadro ricompaiono elementi noti: il movimento ascendente degli alberi “scheletri alienati” che raffigurano il bisogno di relazione con l’assoluto. Mentre una nuova tensione orizzontale sembra voler relazionare la coscienza individuale con l’ambiente circostante. I segni orizzontali rappresentano la volontà di ordinare lo spazio intermedio tra coscienza ed inconscio, ambito in cui opera il “Super Io” censorio. Il legame tra le parti della composizione è ottenuto dal richiamo delle marezzature chiare del cielo sul piano prospettico.
Come si può rilevare nel quadro del ‘78 - Torre di pesca - i grafismi peculiari del pittore, qui si presentano come piatti ideogrammi orientaleggianti. L’incrocio degli elementi è un espediente grafico per dare astrazione all’insieme. Devoti ricerca sul piano compositivo di imbrigliare, dandogli rilevanza, il soggetto e rendere sul piano ideale la relazione dei livelli psichici con la realtà. In quest’opera la tavolozza dei colori sfuma verso il rosso sottolineando, attraverso il cielo serale, che la vita è sempre una corsa verso la luce che fugge scomparendo oltre l’orizzonte.

1978 – Torre di pesca – tecnica mista 57,5 x 77,5

Questo modo di creare coerenza formale viene ripreso e potenziato a partire dal 2005 con il quadro -Tepee -. Abbandonata la tecnica della pennellata un “dripping” di colori densi produce spazialità attraverso grafismi materici. Questo quadro appartiene ad una serie sull’epopea indiana in cui si preciserà la tecnica dell’encausto.
2005 - Tepee - acrilico e smalto su carta 40,5 x 34,

2006 – Trasferimento invernale - encausto e stucco su tavola 40 x 30

L’anno successivo con - Libano 2006 – il dripping si arricchisce di graffiture ed incisioni, ottenute lavorando il colore con spatoline di bamboo, elemento tecnico che accresce e definisce il gesto artistico, ammorbidisce il segno pittorico da coesione al quadro. L’oggetto appoggiato sullo sfondo, ma da esso disgiunto, rappresenta l’autonoma estraneità che la presenza umana (nelle azioni, aspirazioni e idealità) ha sull’ambiente.




2006 - Libano 2006 - acrilico e smalto su carta 40,5 x 34,5

La dicotomia tra il fondo e gli elementi della composizione sarà, da questo momento, una delle caratteristiche salienti della sua espressività.
In - Vasto contrasto – (2007) La rappresentazione dei motivi neri, simili ad un unico ideogramma, paiono galleggiare sul fondo rendendo evidente il distacco compositivo tra gli elementi del dipinto.
Lo studio accurato della disposizione dei segni lega l’insieme con una tensione inquietante che da forza di simbolo all’opera. Le linee sottili avvolgenti, come tela di ragno, attuano una forza sospesa sulla superficie del quadro, realizzano bidimensionalità annientando il volume.

2007 – Vasto contrasto – encausto su tavola 40 x 60

Nel quadro del 2007 - Fata Morgana - gli elementi neri fluttuanti sul paesaggio che traspare tra le radici dei simulacri arborei, si presentano come gabbie di metallo alieno, artefici di una sottile ansia. Queste strutture, castelli fatati, scostanti e nello stesso tempo coinvolgenti, ammagliano creando desiderio d’indagare quest’ambiente estraneo solo a livello conscio e razionale ma profondamente radicato nel nostro inconscio.
I segni sghembi rendono il piano orizzontale ancor più estraneo agli stereotipi naturali.
2007 – Fata morgana – Encausto su tavola 64,5 x 94,5

Del 2007 è - Di fronte al Leviatano - . Il titolo, del quadro, evoca la genesi del potere politico di Hobbes opposto allo "stato di natura: sgradevolmente miserabile, solitario, breve e brutale perché dominato dalla guerra di tutti contro tutti".
In quest’opera il cielo acquista una dinamicità nuova quasi esplosiva, mentre gli elementi compositivi, nella prassi dell’artista, si precisano prendendo evidenza. La griglia ideale degli “scheletri arborei” diviene sempre più staccata dall’ambiente. Sono presenti due ectoplasmatiche figure, archetipi di un’umanità da precisarsi nella sostanza, ma chiaramente inserite nel contesto. Una larva di griglia prospettica, embrione dell’ordine, individua la direzione evoluzionaria della società umana e completa il piano orizzontale. Il flash di luce del cielo trova specularità negli elementi bianchi di rafforzamento prospettico alla base della composizione.

2007 - Di fronte al Leviatano – encausto su Tavola 58 x 100

Nell’opera - Inquietudine – 2007 la griglia degli elementi neri si staglia su di uno sfondo chiaro che, ponendo in risalto l’intricata tessitura dei segni, rende il chiaroscuro dell’ambiente, di per se ambiguo, sempre più estraneo. All’orizzonte tracce di una presenza umana corrosa ed inquietante fanno emerge la sua capacità di interiorizzare le strutture essenziali del mondo reale, prima di rappresentarle.
Quest’arte s’identifica come via d'accesso autono­ma all'idea concepita dell’aspetto soggettivo delle cose. Idea che solo l'artista può cogliere e rappresentare con la forza della sua immaginazione. I segni della sua pittura, grafemi espressi con gestualità spontanea, evidenziano la registrazione di uno stato d'animo istintivo in cui gli elementi esprimono la forza derivante dal gesto.
2007 - Inquietudine – encausto su tavola 48 x 32

In - Metropolis – (2007) l’ambiente divenuto urbano mantiene il rapporto di contrasto tra il fondo e lo scheletro nero degli edifici. Mentre la parte alta del quadro è statica nella regolarità del graffito, la parte sottostante si realizza, in una dinamicità intensa, attraverso le tracce di una possibile presenza di mezzi di trasporto. Il plafond della città è individuato da improbabili linee di fuga, che si inseriscono in strutture, ponti e sostegni generatori di coerenza formale.

2007 - Metropolis - encausto su tavola 60 x40

La produzione di Devoti, anche quando imita la natura, realizza il concetto Platonico che la pittura produce copie di copie, giacché la raffigurazione artistica della realtà visibile esprime la visione dell’idea di un’idea. Nel nostro caso infatti le cose raffigurate, idee della realtà sognata, diventano copie ideali della stessa, prodotte in modo unico ed originale.
Nel percorso artistico di Devoti spesso si trovano barche e cavalli a rappresentare la libertà primigenia dell’esistenza. Anche il centauro, essere ibrido posto tra emancipazione del pensiero e schiavitù autolesionista della bestialità, è figura peculiare del suo concetto di libertà.
Al riguardo precisa:
“Se si considera l’uomo nella sua “nuda naturalità” risulta che, nonostante l'umanizzazione egli continua ad essere un mammifero sociale per il quale i condizionamenti derivanti: dal territorio, dalla ricerca del cibo e dalla riproduzione, non possono essere concepibili ed interpretabili se non in termini zoologici.
Quest’atteggiamento, lapalissiano e pieno di bestialismo, sembra giustificarsi con la distanza, oggi esistente, tra l'uomo e l’ambiente in cui vive. Detto ciò si può affermare che, egli cacciatore di selvatici nato al tempo delle steppe, si è adattato a poco a poco ad una locomozione seduta in un'atmosfera di petrolio bruciato.
Ciò porta alla constatazione che tutta l'ascesa delle civiltà si è realizzata con quello stesso uomo fisico ed intellettuale che faceva la posta al mammut. La nostra cultura elettronica, che ha appena cinquant'anni, si regge su un apparato psicosomatico che risale invece a centomila anni fa. Se c'è motivo di avere fiducia nelle possibilità di adattamento, tuttavia la distorsione esiste ed è evidente la contraddizione fra una civiltà dai poteri quasi illimitati e un civilizzatore la cui aggressività è rimasta immutata dal tempo in cui uccidere la renna significava sopravvivere”.
La sua arte va interpretata tra istinto e razionalità, ove la fantasia è sempre imbrigliata dalla censura che il “SUPER IO” opera sulla sua sfera pulsionale, ma la realtà sognata ha sempre il sopravvento.
Nel periodo tra il ’70 e ’95, in cui la pittura è divenuta sporadica, ha prodotto moltissime opere di grafica. I disegni di questo periodo sono ottenuti lavando un coagulo, parzialmente asciutto, di china e resina vinilica. L’effetto litografico è suggestivo.

1972 – Marina – China e resina vinilica tecnica mista Penna & guazzo

Le linee verticali del sartiame nella - Marina - del ‘72 hanno la, già citata, funzione di sottolineare che la libertà umana viene espressa nella tensione verticale di alcuni elementi dell’opera.
Nel successivo - Cavallo – del ‘77 il movimento d’insieme è ottenuto dalla rotazione della testa dell’animale mentre i segni corrosi ottenuti con la tecnica citata danno coerenza e suggestività alla composizione.

1977 - Cavallo – China e resina vinilica tecnica mista Penna & guazzo

Altre opere interessanti sono i: “cavalli pazzi”, dove si coglie nel segno spontaneo e dinamico il concetto di libertà dell’idea. L’attivismo del cavallo, inserito in uno spazio astratto e piatto in cui le forme corrose si amalgamano, rappresentano l’essenza del pensiero. Questo si forma e si modifica continuamente fino a trovare una sua definizione razionale e perfetta. Ed è questa sua forma che lo segrega in un iperspazio irreale e monodimensionale. Devoti rappresenta questo suo concetto in forma poetica nei versi: Per campi di luna, / Pensieri miei, / Cavalli pazzi galoppanti al vento. / Mentr’io vado come va il fiume, / Foggiando l’onda alla riviera / E la riviera all’onda. 2005 - Cavalli Pazzi I - Tecnica mista 62x42

Nei - cavalli pazzi II - del 2006 l’impostazione formale ed ideologica rimane immutata, mentre nel successivo - cavalli pazzi III - si riconfermano in tinte fosche e contrastanti i motivi che produrranno l’ambiente ideale del suo attuale modo di proporsi.
2006 Cavalli Pazzi II - Tecnica mista su tavola 78x60

2006 - Cavalli Pazzi III - Tecnica mista su tavola 90x62

La coerenza della sua arte si esprime nella capacità tecnica di proporre prodotti esteticamente validi perchè sostenuti dalla spontaneità del gesto. Questo si colloca nello spazio irrazionale del subconscio ove, gli archetipi contenuti, vanno sempre reinterpretati. L’uso degli stucchi trattati ad alta temperatura, attraverso un crackle esasperato, danno corpo alle figure equine.
In - Chirone - e - Caduta di pegaso - 2007 è rappresentato uno dei tanti momenti di ricerca personale ove si conferma l’irrequietudine costituzionale che nega l’affiliazione forzata ad un’idea ed al suo mantenimento.


2007 – Chirone –tecnica mista su Lamina d’argento e oro 6,5x8,5


2007 - Caduta di Pegaso - tecnica mista su cartone 30x34

A partire dal 2005 è chiaro come realizza la facoltà di riconoscere ed interpretare la propria realtà percettiva come lascito del suo vissuto e dall’analisi di alcune delle sue opere appare evidente che quello che egli intende comunicare è un sentimento di sé, tanto intenso e penetrante, da esprimersi principalmente attraverso i segni tracciati sulla superficie passiva del dipinto.

2006 - La paura genera Tabù - smalti e stucco su carta 22,5x30,5

Spesso sentendo gli artisti si comprendono le motivazioni che sostengono la loro produzione e per questo motivo ho parlato con Devoti dei temi legati all’arte, a questo proposito egli dice:
“Le trasformazioni della società contemporanea rivelando sempre più i caratteri della spettacolarizzazione portano l'estetica a rapportarsi con l’intera esistenza. Generalizzando le categorie di appartenenza la realtà diviene simulacro di se stessa, il che ci pone in una situazione critica nei confronti dell’idea consolidata di opera d'arte”…….. “l’esperienza psicologica della percezione delle forme si struttura su leggi universali ove il cerchio tende ad esprimere sempre la medesima sensazione, indipendentemente da cosa abbia forma circolare. E così avviene per i colori, per l’articolazione tra forma e forma, tra colore e colore, e tra forma e colore. In sostanza l’atto percettivo, affidandosi ad esperienze già possedute, tende ad interpretare le cose indipendentemente da ciò che rappresentano”….. “In arte, la forma astratta nasce dalle sollecitazioni a cui l’artista viene sottoposto e dall’interpretazione che la sua specifica sensibilità sa dare alla forma. Il gesto creativo, all’interno dell’opera, diviene traccia esistenziale di tutta l’iterazione tra realtà, sollecitazione, sensibilità e creatività, che può essere comune a tutti, ma che solo l’artista, sa esprimere e oggettivare”….. “Il gusto, sebbene soggettivo, possiede un suo fondamento universale. I criteri in base ai quali esso giudica, non sono legati alla soggetti­vità empirica, ma alla natura universale dell'uomo, quindi connessi al sentimento, alla fantasia, all'intelletto intuitivo che sono caratteristi­che del genio umano. Le nozioni di fantasia, di sentimento, di intuizione e di genialità sono dunque i soli parametri di valutazione dell’esperienza artistica”…“Non esistono limiti alla libertà inventiva dell'artista, infatti mentre la scienza si fonda sul raziocinio, la storia sulla me­moria, la poetica introspettiva dell’arte è opera della fantasia, che è la facoltà di combinare e dividere le cose al di la del raziocinio, detto ciò, non resta che il giudizio critico a determinare la validità dell’opera”… “La funzione dell’arte è di mettere in evidenza le dinamiche della socie­tà il che la configura come una delle forme della coscien­za comune. E’ il momento fruitivo dell’esperienza artistica, che si tematizza nel quadro come bene immediato, a rappresentare la valenza dell’opera d'arte”.
Questo in sintesi il suo pensiero sul mestiere dell’arte, come artista egli si considera appartenente al genere “Homo faber” poiché specie che ha per culto la sacralità del gesto.